Narrare le paure ai bambini (e agli adulti)

In questi giorni di crisi e di paura, abbiamo un alleato con noi: la parola! La parola è infatti uno strumento ansiolitico potentissimo! Le fiabe che da secoli si raccontano ai bambini in ogni civiltà umana sono proprio per questo piene di streghe, di lupi mannari, di mostri, di figure spaventose e fantastiche: proprio perché non è possibile parlare ai bambini della morte, della paura di crescere, della separazione, dell’abbandono, del pericolo, l’uomo ha inventato la narrazione per dare parola, e quindi confine, alla paura e per rendere possibile dominarla e sconfiggerla… E così alla fine è sempre possibile sconfiggere draghi e orchi, superare prove e evitare streghe o malefici per sposare il principe azzurro o tornare a casa più ricchi e più saggi di prima!
Il racconto permette di dare voce, immagini e dimensioni alle paure, che normalmente vivono nella mente e nell’animo dei bambini, oltre che degli adulti. Questo consente di dare confini e limiti a paure sconfinate, di ridurre l’ansia a paura dominabile, di dare nome all’innominato. E l’innominato fa sempre più paura di qualsiasi minaccia senza nome.
Per esemplificare ancora meglio riprendo una storia vera che riguarda il celebre romanziere Franz Kafka. L’episodio è riportato nelle memorie della sua compagna Dora Diamant, che gli è stata a fianco nell’ultima parte della sua vita, quando lo scrittore si trovava a Berlino: Passeggiando per il parco Steglitz a Berlino, Kafka vide una bambina, Elsi, che piangeva disperatamente perché aveva perduto la sua bambola, che aveva chiamato Brigida. Kafka si offrì di aiutare la bimba a cercare la sua Brigida e le promise che si sarebbero rivisti il giorno dopo nello stesso punto del parco; pur non riuscendo a ritrovare la bambola perduta, si inventò una meravigliosa soluzione per consolare Elsi, che lo aveva commosso e intenerito: scrisse una lettera – da parte della bambola – e la consegnò alla piccola il giorno seguente. La lettera cominciava più o meno così: “Per favore non piangere, sono partita in viaggio per vedere il mondo, ti riscriverò raccontandoti le mie avventure…”. Kafka lesse tutta la lettera ad Elsi, fingendo che la bambola Brigida raccontasse tutte le vicende immaginarie che aveva vissuto dopo essere stata smarrita. La bimba rimase consolata e rivide Kafka per diversi giorni ascoltando le lettere e i racconti delle tante avventure vissute dalla sua bambola lontana. Alla fine, Kafka, che aveva detto di essere il postino delle bambole, le regalò una bambola nuova, ovviamente diversa da quella perduta, ma in un ultimo messaggio che accompagnava il dono c’era scritto: “I miei viaggi mi hanno cambiata!”.
Ogni cosa amata è molto probabile che venga perduta, però alla fine l’amore donato la muterà in una forma diversa: la paura di perdere non deve farci dimenticare che l’amore può trasformare ogni paura e renderla accettabile attraverso la narrazione! Se troviamo il modo di raccontare la loro paure ai bambini e dargli senso e narrarle, perché diventino più comprensibili, trasformeremo i fantasmi che sgomentano i loro animi in ricordi accettabili o addirittura piacevoli.
Questa è l’efficacia della parola, potente medicina a disposizione di ogni rapporto umano, che come il bacetto che guarisce la bua di un bambino, è efficace soprattutto per trasformare in ricordi le paure che tormentano, anche la paura del virus!
E che questo sia vero lo dimostra anche il fatto che la parola e la narrazione sono lo strumento principale delle psicoterapie, insieme alla relazione. Addirittura si potrebbe definire la narrazione come uno strumento salvifico oltre che terapeutico, perché ha il potere di sollevare dall’angoscia e dalla disperazione anche chi ha subito traumi terribili. La narrazione offre le possibilità di riscattare le miseria del vissuto e restituire ad essa senso e coerenza. Attraverso il racconto i fatti vengono rinnovati, trovano nuova comprensione, sono rivestiti dalla parola, che tenta di ordinare il caos dei traumi vissuti. In una psicoterapia inoltre la narrazione di un paziente si incontra con il vissuto del terapeuta che ascolta; la narrazione in questo caso è terapeutica e salvifica perché il trauma ri-vissuto e ri-narrato continuamente nell’esperienza terapeutica, trova nuovo senso e viene continuamente ri-sperimentato in modo sempre meno terrorizzante e inibente. Questo viaggio narrativo tra l’altro in psicoterapia può essere affrontato in modo meno angosciante proprio perché viene compiuto in due, finalmente insieme a un compagno che si prende cura e che sostiene con affetto e autorevolezza; la nuova storia delle storie del paziente viene così modulata progressivamente e continuamente fino a diventare diversa, priva di elementi terrorizzanti e capace di fornire un nuovo modo di raccontarsi a se stessi e agli altri.

2 Comments

  1. Carla Urban

    19 Marzo 2020 at 14:43

    Sono fondamentali informazioni/narrazioni come questa. Nei giornali vengono ignorate. Grazie

  2. Clara Chiodi

    20 Maggio 2020 at 20:34

    Grazie all’autrice per il prezioso contributo. In modo brillante delinea il valore formativo e di cura della narrazione e lo spirito brioso e multidimensionale della Lingua, La Scuola è chiamata in tal senso a dare risposte costruttive, di ampio respiro, a tali riflessioni per poter autenticamente garantire la Centralità del Bambino. Grazie ancora.

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