C’è Barbie e c’è Ken!

Ho visto Barbie, il successo cinematografico della stagione. L’ho trovato molto interessante, divertente e pieno di spunti di riflessione. Alcuni vorrei condividerli:

Parto da Ken, che sembra essere il personaggio secondario della storia, la bambola, di serie B, quella creata solo per essere il compagno di Barbie: Barbie e Ken! A Barbieland ken vive come uno sciocco e muscoloso ragazzo, passando la vita a prendere il sole in spiaggia e a rendersi servile fino al ridicolo con Barbie, che ne accetta la compagnia ma non vuole con lui nessuna relazione impegnativa. Ken però riesce ad intrufolarsi, insieme a Barbie, nel mondo reale, dove non ci sono plastiche rosa e lustrini a dorare la perfezione e la giovinezza perenne; lì conosce la vita reale, dove sono gli uomini a comandare, dove c’è bruttezza, vecchiaia, competizione, soldi, lavoro, successo. Tornato a Barbieland, Ken instaura il patriarcato, il dominio subdolo che ancora caratterizza la società odierna, insegnandolo anche agli altri Ken, bambolotti maschili succubi delle Barbie e creati solo in loro funzione. Da uomo sottomesso si trasforma così nel classico macho americano, appassionato di auto e cavalli, amante della birra e capace di sciorinare discorsi paternalistici e dare indispensabile guida e consiglio a Barbie imbranate e incapaci di cavarsela da sole. Alla fine del film ovviamente Ken scoprirà, insieme a tutti gli altri Ken e tutti gli spettatori, che anche il machismo è una prigione esistenziale. E d’altronde tornare a fare l’uomo-zerbino è addirittura una condizione peggiore. Perché non è vero che non c’è Barbie senza Ken: c’è Ken e c’è Barbie, cioè nessuno può sciogliere la propria individualità negli altri, nessuno può vivere la propria vita in modo vicario, nessuno deve sacrificare in modo oblativo la propria esistenza a servizio dell’altro e dimentico di sé. In sostanza invece il film suggerisce che ogni uomo e ogni donna deve conquistare autonomia, libertà di pensiero ed espressione, per diventare sé stesso indipendentemente dalla tentazione di modellare la propria identità e la propria vita sulla vita e sull’identità di un altro… Per essere Kenough, come è scritto sulla maglietta di Ken alla fine del film, cioè un uomo abbastanza uomo di per sé, senza necessità di conferme continue per vivere e definirsi!

Il mondo delle Barbie, Barbieland, è un mondo in cui tutto è rosa (anche perché il futuro è roseo in un eterno e fantasioso presente che non muta mai!) color pastello, i vestiti dallo stile vintage sono bellissimi e sgargianti, tutti si divertono, sono belli e soprattutto perfetti. Il mondo reale è grigio, abitato da uomini e donne problematici e che vestono principalmente di colori scuri e che, a differenza delle bambole, vivono la vita consueta, in cui il presente è duro e il futuro è un’ipotesi, soggetto a continui cambiamenti. A Barbie stereotipo però basta un solo pensiero di morte (durante una serata in discoteca osa dire le altre Barbie che di divertono con lei spensierate: “Ma voi pensate mai alla morte?”) e il mondo delle bambole va in frantumi: Barbie non può più vivere la vita di prima. I piedi le diventano piatti (indossare le Birkenstook alla fine del film sancisce la trasformazione in una donna da bambola che era) e scopre di avere la cellulite! La perfezione illusoria si sgretola! Nel film si ride amaramente pensando a una Barbie Proust, lanciata sul mercato ma mai acquistata da nessuno, e soprattutto si riflette sul fatto che le risposte esistenziali Barbie stereotipo le possa ricevere solo da Barbie stramba! Perché la perfezione non esiste e non può rendere schiava nessuna donna e nessun uomo, condannandoli ad un’inerzia ingenua. Ma d’altronde la realtà spesso è brutta ed è necessario lottare per cambiarla. E allora torna utile una bella citazione dalla Storia Infinita, di Michael ENDE: “Caro mio, ci sono persone che non potranno mai arrivare in Fantàsia”, disse il signor Coriandoli, “e ci sono invece persone che possono farlo, ma che poi restano là per sempre. E infine ci sono quei pochi che vanno in Fantàsia e tornano anche indietro. Come hai fatto tu. E questi risanano entrambi i mondi.” Sapiente e difficilissimo è infatti trovare equilibrio fra vivere mondo reale (con i piedi ben piantati per terra!) e progettare una vita e un mondo diverso con immaginazione: creativa. Ma chi si sa muovere in tutti due i mondi li “risana entrambi”, perché sarà capace di rompere un’illusoria perfezione che non esiste, per adeguarsi alla realtà, coinvolgendosi pienamente in essa e sarà anche capace di pensare e progettare un mondo e una vita migliore per sé e per gli altri, lottare e cambiare e quindi guarire la realtà malata! Capace di vivere in due mondi senza appartenere a uno solo.

Infine un’ultima riflessione, suggerita dal punto cruciale del film, che ha un riferimento chiaramente filosofico (addirittura Heidegger?): l’esistenza autentica è quella che accetta il suo carattere diveniente, che comprende, inevitabilmente, la possibilità della nullificazione (della morte e del termine della propria attività di ex-sistere). La svolta nella trama del film avviene infatti quando Barbie si domanda della morte. La consapevolezza della caducità di tutto e della precarietà della vita rompe la sua eterna esistenza di perfetta bambolina e frantuma il mondo di sogni patinati e immutabili in cui vive. Ma frantuma anche la sua felicità artefatta. E allora si apre la crisi! Però nel film si riscopre che l’esistenza autentica è un vivere-per-la-morte: se la vita deve avere sempre scopi e intenzioni, un poter essere come possibilità continua di essere, la morte è una di queste possibilità; direi la più importante, perché ineliminabile e perché coinvolge tutti. La fuga di fronte alla morte e alla malattia, alla vecchia e alla caducità, la banalità della consolazione illusoria è vita inautentica, falsa e ipocrita. Essere-per-la-morte cioè vivere sapendo sempre di poter morire, rappresenta invece, l’autenticità dell’esistenza e apre l’orizzonte della responsabilità: ognuno potrà vivere pienamente l’attimo presente, sapendo quanto vale, ognuno potrà vivere il tempo senza sprecarlo per inseguire beni inutili e scialacquando proprio il tempo, unico bene di valore; ognuno potrà essere libero di fare scelte responsabili per sé e per gli altri, perché, sapendo l’approdo inevitabile al porto, il viaggio diventa più prezioso e le mete sono scelte con più consapevolezza, intenzione e libertà!

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