Fame di fama… per FoMo!

“Fear of Missing Out” (FoMO) significa “paura di essere tagliato fuori”. Premessa. C’è una constatazione tanto banale quanto veritiera: spesso si nutre maggior interesse a ricevere like e a controllare l’attività social dei propri contatti che ad interagire veramente con i nostri reali interlocutori; perché il rischio è quello di sentirsi esclusi, di aver perso un’occasione, di non aver postato la frase giusta, la foto efficace e di essere per questo più marginali e dimenticabili nella grande comunità virtuale che ognuno ha faticosamente costruito e in cui fatica a rendersi visibile.
Esiste addirittura un neologismo per definire questo nuovo atteggiamento: phubbing, cioè snobbare qualcuno in un setting faccia a faccia, concentrandosi sul proprio telefono piuttosto che sulla persona che si trova di fronte. Ovviamente tutti crediamo che questo sia un comportamento maleducato o irrispettoso o quantomeno inopportuno, eppure, quando sentiamo il suono di una notifica, anche se stiamo parlando, un’occhiata al display è comunque inevitabile…
In un momento di noia e di insoddisfazione poi, sfogliare i social e vedere gli amici divertirsi e postare foto e selfie di eventi a cui si è stati esclusi o semplicemente non è stato possibile partecipare, genera ansia e anche l’ansia aggiuntiva di sapere esattamente da cosa si è esclusi o quale evento si sta perdendo o quali amici si sono dimenticati di noi o ci hanno trascurato per preferire altre compagnie.
I gruppi virtuali sono altrettanto reali ed importanti dei gruppi fisici. Avere l’impressione di non essere connessi, di non essere coinvolti, di non partecipare a una discussione sul web, può causare l’impressione di sentirsi tagliati fuori dalla vita reale. E la sensazione può essere più che spiacevole, perché l’esclusione sociale conduce ad una perdita del senso di appartenenza, al timore di essere esclusi socialmente, soprattutto alla paura che questo accada per mancanza di valore; facile allora paragonarsi agli altri sui social e stabilire, tramite un confronto a base di like o di followers, il proprio valore personale, il proprio prestigio sociale! E di solito, da questo confronto, ognuno di noi esce sempre pesantemente sconfitto e umiliato!
Per questo diversi studiosi di psicologia sono arrivati a definire meglio questa nuova forma d’ansia, questa paura eccessiva di essere esclusi dalla vita sociale che avviene nel mondo virtuale, la FoMO! Il bisogno irrefrenabile di mostrarsi e di essere visti comunque, nell’illusione di esserci! Ma mostrarsi e essere visti non vuol dire esserci, avere un post molto visibile non vuol dire essere apprezzati, e essere molto commentati o ammirati non vuol dire essere voluti bene.
L’autoregolazione dello stato emotivo e la salute psicologica sono infatti basate su altro, sulla soddisfazione di almeno tre bisogni psicologici di base: la competenza (la capacità di intervenire con senso di efficacia), l’autonomia (capacità di decidere, di determinarsi, di fare scelte realmente personali senza troppi condizionamenti) e l’affiliazione (il senso di vicinanza e connessione con gli altri). La FoMO può essere compresa considerando la possibilità che bassi livelli nella soddisfazione dei bisogni primari inducano allora a gravitare intorno ai social media, come fossero una risorsa surrogata, un’illusione di essere in contatto con gli altri, di poter decidere, di sviluppare competenze sociali e di avere relazioni sociali diffuse e profonde. Le immagini hanno lo stesso effetto delle parole nel raggiungere obiettivi di autopresentazione, anzi forse hanno maggiore efficacia ed è quindi possibile ipotizzare che alcuni social siano, da questo punto di vista, preferibili ad altri per chi sente FoMO. Vorrei ma non posto, cantava ironicamente Fedez con j-Ax, prendendosi gioco di chi preferisce condividere che vivere, pubblicando una foto di una vacanza, un’immagine di un ricco aperitivo, il sorriso dei propri figli, il raggiungimento di un obiettivo, il proprio pensiero politico, morale, civile, invece di rimanere nel momento presente nella realtà concreta e vivere pienamente il proprio stato prima di pubblicarlo!
Ci sono banali e preliminari considerazioni da fare: è più che mai necessario interrompere il confronto continuo con gli altri, con loro aspetto fisico, con le loro vite social, con gli eventi ai quali partecipano, per rendersi conto dell’ovvio: ognuno è unico e irripetibile e pubblicare facce felici o uno stile di vita magnifico e strabiliante, non significa essere felici; significa solo voler mostrare di esserlo!
Fondamentale però, in relazione a quanto premesso sopra, è distinguere tra desiderio e bisogno: spesso ciò che si desidera sul momento è un bene effimero che non risponde a un bisogno profondo dell’essere (competenza, autonomia, affiliazione) ma accarezza temporaneamente la sensazione di vuoto e di mancanza di senso, per colmare ora, senza riempiere domani, senza costruire un benessere futuro e permanente, ma sostenendo solamente per pochi istanti un sé instabile con un palliativo che non offre prospettive, ma solo la certezza di mantenersi senza certezze affettive. Necessario distinguere quindi desiderio effimero di essere dal bisogno reale di esserci.
Abbiamo tutti consapevolezza che nel momento della crisi e della difficoltà, le soluzioni brevi, immediate e a portata di mano o di click, sembrano molto più attraenti di investimenti più impegnativi e duraturi: ma è il nostro sé ad essere debole e minacciato, è la nostra identità che ha confini incerti. E allora da soli, o con l’aiuto di uno psicoterapeuta è necessario lavorare sugli unici aspetti che possono donare benessere: rafforzare la capacità di stare nel mondo, di agire con efficacia, in modo autonomo, per stabilire relazioni soddisfacenti. Questo definisce e rafforza il sé che è identità propria sostenuta da senso di autostima e di efficacia, ma che è intessuto soprattutto delle relazioni reali con gli altri. Siamo anche e soprattutto le relazioni che viviamo, le parole che diciamo e riceviamo, gli affetti che scambiamo: siamo una trama che comprende le vite degli altri che ordiscono la nostra vita… La vita reale degli altri, non quella fantasmatica che incontriamo sul web! Quella può al limite completare le relazioni reali, non sostituirle. Proprio perché le relazioni social sembrano meno vincolanti, il web è uno spazio ideale per fare dei tentativi, senza rischi o coinvolgimento. Ma tentare di vivere non è vivere. Il virtuale ha una funzione di scudo: ma tanto non si è completamente esposti allo sguardo, alle parole e alla presenza dell’altro, quanto l’altro non può realmente sostenere, incoraggiare, aiutare, costruire e potenziare il sé e il senso di autostima e di efficacia.

Leave a Reply