Trovarsi e non perdersi. Nell’altro.
“Eco e Narciso” è uno dei miti raccontati nel libro III delle Metamorfosi di Ovidio; un mito bellissimo e ricchissimo, che affonda le radici in un’antica tradizione e ha diverse fonti e diverse varianti nella cultura greca. Ovidio lo narra in modo splendido, legando due miti di trasformazione in un unico racconto, La tradizione psicoanalitica si è poi concentrata unicamente su Narciso, elaborando diverse ipotesi sulle origini del narcisismo, sulle caratteristiche della personalità narcisista, sulle difficolta della relazione per un narcisista o con un narcisista. Ma il mito è doppio ed è interessante leggere le due storie che trattano, in una sola storia, l’amore disfunzionale nei suoi due aspetti estremi, come suggerisce Ovidio. Ovidio riporta infatti la storia di due tragici opposti: Narciso che si lascia morire, incapace di amare l’altro perché innamorato solo di se stesso, ed Eco che si lascia morire, incapace di amare altri se non Narciso, restando ossessionata così da un amore impossibile e non corrisposto. Il racconto è ancora più complesso, interessante e articolato, perché Eco, la più bella tra le ninfe, aveva dalla nascita uno straordinario dono di parola e spesso aveva usato la sua capacitò di essere ciarliera e suadente per trattenere Giunone in chiacchere e impedirle così di scoprire i tradimenti di Zeus. Alla fine fu però scoperta e punita dalla madre delle dee e le fu tolto il dono di parlare in modo autonomo e volontario: avrebbe potuto ripetere solo le ultime parole che ascoltava! Così, vagando tra le selve solitarie, si innamorò perdutamente di Narciso:
“Oh quante volte avrebbe voluto affrontarlo con dolci parole
e rivolgergli tenere preghiere! Natura lo vieta,
non le permette di tentare; ma, e questo le è permesso, sta pronta
ad afferrare i suoni, per rimandargli le sue stesse parole.
Per caso il fanciullo, separatosi dai suoi fedeli compagni,
aveva urlato: «C’è qualcuno?» ed Eco: «Qualcuno» risponde.
Stupito, lui cerca con gli occhi in tutti i luoghi,
grida a gran voce: «Vieni!»; e lei chiama chi l’ha chiamata.
Intorno si guarda, ma non mostrandosi nessuno: «Perché», chiede,
«mi sfuggi?», e quante parole dice altrettante ne ottiene in risposta.
Insiste e, ingannato dal rimbalzare della voce:
«Qui riuniamoci!» esclama, ed Eco che a nessun invito
mai risponderebbe più volentieri: «Uniamoci!» ripete.
E decisa a far quel che dice, uscendo dal bosco, gli viene incontro
per gettargli, come sogna, le braccia al collo.
Lui fugge e fuggendo: «Togli queste mani, non abbracciarmi!»
grida. «Possa piuttosto morire che darmi a te!».
E lei nient’altro risponde che: «Darmi a te!».
Il dialogo è impossibile tra una donna che non può parlare in modo autonomo, ma che pende solo dalle parole dell’altro e un uomo, incapace di ascoltare gli altri, perché concentrato solo sul compiacimento di sé! E l’amore è impossibile se non c’è dialogo vero, libero, sincero, autonomo!
Eco subì un dolore così grande da distruggersi, fino a consumare il suo corpo e a ridursi a pura voce. Narciso, non se ne preoccupò e rifiuto dopo di lei anche tanti altri amanti, fino a che la sua indifferenza e la sua crudeltà fu punita dalla dea della Vendetta, Nemesi, che ascoltò il lamento dell’ultimo amante da lui disprezzato; e allora Narciso un giorno, assetato, si avvicinò a una fonte, vide la sua immagine nell’acqua, se ne innamorò perdutamente, e cercò di immergere le braccia per stringerla e baciarla, fallendo però ogni volta. Quando si rese conto di essersi innamorato della sua propria immagine, sapendo di non poterla raggiungere amare e essere amato, si lasciò morire, struggendosi dal dolore. Non senza un ultimo paradossale e drammatico dialogo con Eco:
Specchiandosi nell’acqua tornata di nuovo limpida,
non resiste più e, come cera bionda al brillio
di una fiammella o la brina del mattino al tepore
del sole si sciolgono, così, sfinito d’amore,
si strugge e un fuoco occulto a poco a poco lo consuma.
Del suo colorito rosa misto al candore ormai non v’è più traccia,
né del fuoco, delle forze, di ciò che prima incantava la vista,
e nemmeno il corpo è più quello che Eco aveva amato un tempo.
Ma quando lei lo vide così, malgrado la collera al ricordo,
si addolora e ogni volta che l’infelice mormora ‘Ahimè’,
rimandandogli la voce ripete ‘Ahimè’,
e quando il ragazzo con le mani si percuote le braccia,
replica lo stesso suono, quello delle percosse.
Le ultime sue parole, mentre fissava l’acqua una volta ancora,
furono: «Ahimè, fanciullo amato invano», e le stesse parole
gli rimandò il luogo; e quando disse ‘Addio’, Eco ‘Addiò’ disse.
Poi reclinò il suo capo stanco sull’erba verde e la morte chiuse
quegli occhi incantati sulle fattezze del loro padrone.
E anche quando fu accolto negli Ínferi, mai smise di contemplarsi
nelle acque dello Stige.
Dopo la morte, Narciso si trasformò in un bellissimo fiore che ancora oggi porta il suo nome.
Ovidio tratta di due amori pericolosi e potenzialmente mortali: da un lato Eco che non vive se non per amare Narciso, dall’altro Narciso che è incapace di rivolgere il suo amore se non verso se stesso. L’amore oblativo e dimentico di sè, l’amore che non inizia dall’amor proprio, l’amore che si dà all’altro senza condizioni porta Eco all’autodistruzione e porta gli uomini e le donne di oggi ad una pericolosa dipendenza affettiva, che fa perdere i confini del sé e che scioglie l’identità individuale a favore della dedizione insensata e ossessiva a un altro. Molte sono le storie di uomini e donne che non sanno accettare la separazione dal partner e che non sanno più vivere e riconoscersi senza la conferma dell’altro… Fino a uccidere o a lasciarsi morire…
Ma questo è solo uno dei poli del continuum disfunzionale dell’amore: dall’altra parte c’è Narciso e chi come Narciso si dimostra incapace di guardare, valutare e amare l’altro perché troppo concentrato a compiacersi di sè, troppo incline ad apprezzare il proprio valore per accorgersi di quello altrui. Il narcisista si sente il centro dell’universo, utilizza gli altri per soddisfare le proprie smisurate esigenze ed è incapace di relazione sincera. Nella società moderna il narcisismo é poi costantemente alimentato dai miti attuali della bellezza a tutti i costi, dell’eterna giovinezza e della cultura dell’apparenza. Ma anche questo atteggiamento porta all’autodistruzione della propria identità e Narciso, acceso d’amore per il proprio riflesso, si strugge in uno sterile tentativo di legarsi a sé. Sono due facce della stessa medaglia, due comportamenti dannosi che portano i due a una solitudine autodistruttiva; si aggiunga la questione centrale della parola: entrambi non sono in grado di comunicare e dove non c’è comunicazione non c’è amore.
All’amor proprio non si può e non si deve rinunciare ma sull’amore e sulla relazione con l’altro si può e si deve fondare un’esistenza che cerca realizzazione e appagamento. Tra Scilla e Cariddi bisogna allora navigare sapientemente, evitando il disastro del naufragio affettivo che ci attende tra gli estremi di un amore comunque disfunzionale. Parafrasando il Vangelo: amare gli altri come se stessi. Amare se stessi e amare l’altro a partire dall’amore per sé e con un amore della stessa qualità ed intensita, senza sciogliere la propria identità e perderla in quella altrui: questo il difficile obiettivo di una vita intera!
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