Squid Game: da problema a risorsa educativa
Squid game è una serie sudcoreana in programmazione sulla piattaforma Netflix che ha appassionato milioni di spettatori in tutto il mondo (e che sono già in attesa della seconda stagione), ma che ha creato anche molte polemiche per il suo contenuto violento: protagonista della storia è Seong Gi-hun, un uomo divorziato e pieno di debiti, che insieme ad altre 455 persone viene invitato a partecipare ad un gioco terribile – ma allo stesso tempo allettante per chi cerca disperatamente denaro – durante il quale chi perde viene ucciso, mentre per chi vince ci sono in palio 45,6 miliardi di won (circa 33 milioni di euro), ma anche ulteriori 100.000.000 won per ogni avversario morto (circa 74 mila euro). Le diverse prove a cui i concorrenti partecipano consistono in giochi per bambini, come il tiro alla fune, il gioco delle biglie o un gioco simile al nostro un due tre stella (qualcosa di paragonabile ai vecchi Giochi senza Frontiere e al più recente “Mai dire Banzai”); per chi perde, però, c’è la morte immediata. I giochi semplici e infantili, anche se crudeli, a cui sono indotti a partecipare i concorrenti di Squid Game, hanno creato curiosità verso la serie Tv anche presso il pubblico dei più piccoli, generando di conseguenza polemiche sull’opportunità di esporre i bambini a contenuti così spaventosi, sulla vigilanza degli adulti sui propri figli, sul dovere delle scuole di aiutare i genitori ad affrontare i temi delicati a cui molti bambini sono già stati esposti.
La prima riflessione che voglio proporre è che Squid Game è una sorta di rappresentazione e di denuncia della crisi della società sudcoreana. In una recente intervista Giovanni Neri, magnifico rettore dell’università popolare degli studi di Milano, ha spiegato che “negli ultimi anni la Corea del Sud ha conosciuto un grande sviluppo economico, al punto che nel 2020 l’Ocse l’ha indicata come la decima potenza mondiale. Ma se è innegabile che sia aumentata la ricchezza e il benessere interno, va sottolineato anche come sia aumentato a sua volta il divario tra ricchi e poveri. The Guardian ha scritto che nella Corea del Sud ‘chiedere un prestito è tanto facile quanto bere un caffè’. In molti chiedono soldi per acquistare casa, avviare un’attività, cercare di avere quel riscatto sociale che avrebbero sempre voluto, ma spesso poi non riescono a restituire il denaro e finiscono per indebitarsi sempre di più”. Il disagio e la disperazione sociale vengono in fondo denunciati anche attraverso una semplice serie Tv, rivolta al mercato interno, ma soprattutto ad un pubblico internazionale. Riconosciamo nel protagonista la sofferenza irrazionale propria anche di un uomo dell’occidente che, sommerso dai debiti, è disposto a tutto per salvare se stesso e i propri cari dalla rovina, condizione imperdonabile nelle società della ricchezza e del successo: la società capitalista dove homo homini lupus, dove il denaro è motore principale, dove ci sono macroscopiche diseguaglianze, dove pochi sono i vincenti a discapito dei moltissimi perdenti, impotenti e incapaci di sfuggire dal meccanismo economico – sociale che li ha condannati. La ludopatia orientale e la finanza aggressiva occidentale sono insieme emblemi di questo sistema. Aggiungo poi che il Grande Burattinaio del gioco è anonimo, è chiunque e nessuno: come nel complesso gioco della finanza mondiale, dietro non c’è una decisione individuale, riferibile a un nome e cognome, così a guidare lo Squid Game, come le vicende economiche del mondo, c’è una specie di Mano Invisibile, il Frontman. Ma anche le sue guardie indossano una tuta uguale, color fucsia e una maschera nera; come non pensare allora alla rigida e disciplinata educazione orientale per cui solo chi lavora e soffre, mantenendo una volto impassibile e socialmente adeguato, senza mostrare emozioni, è una persona rispettabile, uno strumento integrato del sistema aggressivo e agonistico, cioè un individuo apparentemente capace di reggere lo stress e quindi la competizione lavorativa ed esistenziale?
Ma, al di là dell’analisi socio-economica, che rende comunque la serie più interessante e di valore rispetto ad un primo e superficiale giudizio, credo sia sbagliato giudicarla dannosa e chiederne la censura o la rimozione. Si tratta comunque di una fiction, che ha il solo scopo di intrattenere. Ovvio che non deve essere vista dai bambini, ma, anche se Netflix ha sistemi di parental control, non si può evitare che i bambini parlino di ciò che magari non hanno visto ma che è sulla bocca di tutti i giovanissimi.
E allora propongo una seconda riflessione: Squid Game racconta alla perfezione il nostro mondo liquido dove tutti tentano disperatamente di rimanere a galla: un mondo spietato che divide gli esseri umani in “winner” (vincitori) e “loser” (i perdenti). E i bambini questo meccanismo non possono capirlo senza l’aiuto degli adulti. Dobbiamo infatti considerare che fino alla pubertà non sono adeguatamente sviluppate le aree neuronali dei lobi frontali e prefrontali che presiedono al riconoscimento dei nostri stati mentali, e dei nostri sentimenti in relazione con gli altri, nonché al riconoscimento dello stato mentale ed emotivo dell’altro in relazione con noi. Nei più piccoli quindi turba e sgomenta la visione di scene di violenza, crudeltà e sofferenza che non possono comprendere, integrare, rielaborare e spiegarsi (e anche i più grandi fanno legittimamente fatica…).
Il ruolo degli adulti è complesso e non riguarda solo Squid Game: bisognerebbe educare i bambini (ma soprattutto educare gli adulti che educano i bambini) alla convinzione che è meglio perdere, piuttosto che vincere in modo sleale e crudele e che vincere non è sempre bello e desiderabile. Educare perciò anche al valore della sconfitta e non solamente al valore della vittoria, a scuola, nello sport, nel lavoro, nella vita. Perché la vittoria di uno è spesso la sconfitta (e in questo mondo anche la morte) di tanti. Un po’ come nel vecchio gioco della sedia che si faceva alle feste dei bambini: alla fine uno solo vince e solo perché tutti gli altri non hanno trovato posto, proprio a causa della destrezza del vincitore!
Insegniamo la fratellanza e non la spietata competizione; guidiamo i piccoli verso l’empatia e non sosteniamo la cieca indifferenza di questa società; valorizziamo la solidarietà e la cooperazione e scoraggiamo invece la competizione, che crea solo piccoli rivali (e molti perdenti), che diventeranno degli adulti perfetti per vivere nella società spietata che ci disgusta ma che continuiamo a promuovere, senza combatterla… Non dico pubblicamente, ma neanche tra le 4 mura di casa, parlando con i nostri figli! E soprattutto insegniamo loro a mostrare la faccia e non solo il viso, senza vergogna, e a leggere e interpretare con compassione il viso e le emozioni che provochiamo nell’altro. E allora Squid game diventa il problema minore… Anzi forse invece di essere un problema, diventa una risorsa educativa e un’occasione di riflessione per tutti.
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