Le parole della poesia e della psicoterapia

Ogni persona è più di quello che è, è più anche di quello che storicamente è stata e di quello che narra attraverso gli episodi della sua biografia. In particolare il paziente, durante la psicoterapia, è in continuo divenire e la terapia, attraverso la relazione con il terapeuta, lo consegna alla molteplicità dell’essere, per cercare di rendere atto quello che è potenza, per realizzare nel concreto le infinite possibilità di essere. Quindi si può e si deve provare a guardare il paziente non solo per quello che è o per quello che è stato; lo sguardo di un terapeuta lo deve collocare in un percorso di divenire di cui anche lo stesso terapeuta è protagonista, per cercare di intuire le molteplici realizzazioni dell’essere che il paziente potrà raggiungere, per guardarlo come figura in potenza di tante attualizzazioni future. Questo consentirà di agevolare e non bloccare le possibilità di sviluppo e di crescita della personalità e permetterà di narrare nuovamente la vita del paziente con parole nuove che non definiscono un fallimento, ma suggeriscono invece nuove possibilità. Ri-narrare con parole nuove che non siano più termini ma parole aperte e evocative come quelle della poesia.

Inoltre il paziente, secondo questo modo di interpretare la terapia, verrà visto nel qui e ora, ma collocato anche in una dimensione più universale; vissuto nel presente, attimo dopo attimo, ma proiettato nella dimensione assoluta del suo divenire e del divenire di tutti gli uomini di tutti i tempi.

La poesia può farci fare un passo in avanti: bisogna trovare parole nella terapia che possano essere adeguate a questa visione dell’essere: parole che dicano il contingente, ma suggeriscano l’assoluto, raccontino l’uomo liberandolo senza costringerlo, parlino di uno, ma indichino molti, dichiarino la realtà ed evochino però la possibilità dell’essere!

E questo non è scontato. La civiltà moderna in particolare è fondata sulla scienza e la tecnologia e deve necessariamente utilizzare invece una lingua che abbia come caratteristiche l’esattezza e la precisione, una lingua fatta di termini: le voci scientifiche presentano la nuda e circoscritta idea di quel tale oggetto, e perciò si chiamano termini perché determinano e definiscono la cosa da tutte le parti. La lingua dei poeti, però, è un’altra cosa. Non si esprime attraverso termini, che hanno un solo inequivocabile significato, ma attraverso parole che di significati possono richiamarne molti.

Scrive Leopardi nel 1828, annotando questo pensiero nel suo Zibaldone: “All’uomo sensibile e immaginoso, che viva, come io sono vissuto gran tempo, sentendo di continuo ed immaginando, il mondo e gli oggetti sono in certo modo doppi. Egli vedrà cogli occhi una torre, una campagna; udrà cogli orecchi un suono d’una campana; e nel tempo stesso coll’immaginazione vedrà un’altra torre, un’altra campagna, udrà un altro suono. In questo secondo genere di obiettivi sta tutto il bello e il piacevole delle cose. Trista quella vita (ed è pur tale la vita comunemente) che non vede, non ode, non sente se non che oggetti semplici, quelli soli di cui gli occhi, gli orecchi e gli altri sentimenti ricevono la sensazione.”

La poesia, ma anche la canzone e in generale il linguaggio di qualsiasi arte, racconta l’uomo particolare nel suo essere universale. È proprio per questo che spesso, quando ascoltiamo una canzone, pensiamo stupefatti: è così! La descrizione di uno stato d’animo, una riflessione esistenziale, la narrazione di un evento o di un amore, parole di rabbia o indignazione, spesso infatti ci colpiscono talmente tanto da descrivere anche i nostri moti dell’animo, i nostri sentimenti o il nostro vissuto. Le parole che sono servite a suggerire altro, dicono anche il nostro, dicono noi e di noi! Le parole o i segni dell’arte raccontano il particolare, ma suggeriscono l’universale, partono dal contingente ma evocano l’assoluto, suggeriscono a tutti ciò che siamo, ciò che sentiamo, ciò che vogliamo. E lo dicono con parole spesso migliori di quelle che possiamo usare noi. Per questo l’arte è eterna, perché racconta l’assoluto. Per questo leggiamo ancora l’Odissea, perché parla di altro, ma parla anche di noi!

Imparare a parlare in terapia con parole e non con termini (per esempio lo psicoanalese, la strana lingua tecnico – specifica fatta di psico – termini poco comprensibili), imparare la realtà dell’altro attraverso le parole dell’altro, costruire insieme un lessico di affetti, il lessico famigliare di ogni paziente e di ogni relazione terapeutica particolare per potersi dire,  per poter dire realtà umane sempre mutevoli e esistenze sempre aperte al cambiamento con parole altrettanto mutevoli e altrettanto aperte. Come quelle dei poeti!

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