La paura al tempo del Coronavirus

L’arrivo del Coronavirus sta portando con sé non solo la malattia, ma anche le domande e soprattutto la paura; la paura è però un sentimento adattivo e serve al genere umano per salvarsi dai pericoli tenendosi lontano dalla loro minaccia. Diventa ansia solo se è eccessiva rispetto all’entità del pericolo che si ha di fronte.
E allora la nostra paura non solo è legittima (in giusta misura!), ma soprattutto può costituire un’imperdibile occasione: l’occasione di misurarci con i nostri limiti e scoprire così le nostre risorse, oltre la presunzione, il narcisismo, l’ansia da prestazione, la fretta, il delirio di onnipotenza che questo mondo impone nella normalità del suo tempo.
Ma questi non sono i tempi normali del Κρόνος, Cronos, il tempo che scorre sempre uguale attimo dopo attimo; è il tempo che i Greci chiamavano Kairos (καιρός), il tempo opportuno: è tempo di riscoprire il valore e le risorse della nostra fragilità, della debolezza che tutti abbiamo scoperto di avere. Vittorino Andreoli in un suo libro del 2008, “L’uomo di vetro. La forza della fragilità”, sostiene che la fragilità è “all’origine della comprensione dei bisogni e della sensibilità per capire in quale modo aiutare ed essere aiutati”. Eh già, perché dobbiamo tutti imparare quali sono le nostre debolezze e non considerarle come uno scarto vergognoso, indegno palcoscenico del mondo, dove invece la voglia di potere di successo e di sopraffazione sull’altro ci induce normalmente a una logica folle in cui il rispetto equivale a fare paura, senza averne mai!
Solo la fragilità e il dolore, presi per mano dall’amore (tempo, cura, parole), portano nelle profondità dell’essere, nel porto sepolto dentro ciascuno di noi, per citare Ungaretti, in cui abitano gli uomini veri, quelli ormai spogliati dalla bugiarda pretesa di autosufficienza. Solo quando un uomo carica sulle sue spalle il dolore altrui, allora il dolore è abitabile e superabile: come avvenne a Simone di Cirene costretto dai soldati a portare la croce di Cristo.
Una nuova civiltà può essere costruita sulla fragilità, riconoscendo il proprio bisogno dell’altro e quindi creando i presupposti per una vera socialità, per una comunità realmente interdipendente e collaborativa, non più competitiva! Solo sapendo di essere fragili, riconosciamo il bisogno che abbiamo dell’altro; solo riconoscendo il bisogno che abbiamo dell’altro chiediamo aiuto e solo chiedendo aiuto creiamo vere relazioni di interdipendenza e mutualità. La ricchezza del singolo è l’altro da sé, da soli non si è nemmeno uomini, ma solo dei misantropi che male hanno interpretato il senso della vita propria e il valore che l’altro le attribuisce.

1 Comment

  1. Roberta

    15 Marzo 2020 at 15:53

    Forse non tutto vien per nuocere, come giustamente citato è ora di capire le nostre fragilità, ma soprattutto la forza che si può avere tutti uniti🌈🌈🌈🌈

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